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Glossofobia ovvero la paura di parlare in pubblico

La paura di parlare in pubblico è molto diffusa, quasi quanto quella di perdere il controllo. In uno studio David Baldwin (Anxiety disorder, Southampton University, 1998) teso a valutare l’effetto dell’ansia sociale, la paura di parlare in pubblico è risultata al primo posto tra le fobie degli intervistati, precedendo addirittura la paura di morire a causa di calamità naturali e quella di contrarre una malattia. Definita glossofobia ha sintomi sperimentati quali ansia, imbarazzo, vergogna, eccesso di sudorazione, salivazione azzerata, frequenza cardiaca accelerata. Alcune volte può verificarsi un vero e proprio attacco di panico.

A volte questa fobia si manifesta per la paura del confronto, di essere esposti al giudizio altrui. Essere spaventati dal confronto ci fa vedere gli altri come un pericolo da cui difenderci. Si tratta di una paura legata al senso di inadeguatezza e frustrazione per un’esperienza nuova. La paura è un’emozione primaria, una reazione ad un pericolo specifico che ci minaccia, ed attiva risposte fisiologiche che ci preparano agli sforzi necessari per combattere o scappare quando ci troviamo di fronte ad un pericolo. Questo meccanismo fisiologico si è sviluppato nel corso dell’evoluzione per aiutarci a sopravvivere a qualsiasi cosa che può minacciare la nostra vita.

La paura attiva il nostro cervello rettiliano e le sue reazioni di attaco-fuga. Secondo la teoria dei tre cervelli di Paul MacLean il cervello viene visto nei suoi tre sistemi principali: quello rettiliano, più antico, quello limbico, e quello corticale che è il più evoluto. Il cervello rettiliano è la sede degli istinti primari e delle reazioni autonome, e qui risiede la risposta attacco-fuga. Il cervello limbico è quello più caldo, è legato ai sentimenti e alle emozioni e ci permette di prenderci cura e di proteggerci. Il cervello corticale è la sede delle funzioni cognitive complesse e razionali, del linguaggio e del problem solving e ci permette di affrontare situazioni nuove.

Per mantenere in funzione l’intero cervello serve molta energia, basti pensare che è soltanto il 2% di tutta la nostra massa corporea, ma nonostante ciò, usa il 20% dell’energia che assumiamo. Il nostro cervello è ottimizzato per conservare più forze possibile, quindi la parte rettiliana che è sempre preminente non sprecherà l’energia delle altre due formazioni per qualcosa che sa già fare da sola. Se è minacciata la sopravvivenza del sistema mette in atto il suo automatismo lasciando fuori gli altri due cervelli e usando tutta l’energia necessaria.

Quindi quando sale la paura di parlare in pubblico e ci si sente minacciati si attiva il cervello rettiliano e se è in azione quello non c’è spazio né per le emozioni né per il ragionamento ma solo per l’automatismo di attacco-fuga. Solo quando la minaccia cessa l'energia viene veicolata nel resto del sistema e riusciamo ad utilizzare le altre nostre risorse, inoltre le risposte fisiologiche importanti cessano perché cessa la necessità basica di sopravvivere al pericolo. Quindi cessano tutti quei sintomi fisici legati agli stati d’ansia e di panico.

Come possiamo fare per non far partire questo meccanismo primario? Dobbiamo agire sulla nostra paura, abbassarne il livello, affinché il nostro cervello non registri un attacco alla nostra sopravvivenza e non reagisca dando ascolto solo alla parte rettiliana e annullando le altre due, che per noi sono molto importanti in un momento in cui dobbiamo valutare il pubblico che abbiamo di fronte e ricordare il nostro discorso. Se il grado di paura sarà giusto, equiparato a una situazione reale saremo in grado di realizzare una performance adeguata.

Per sentirci meno minacciati dal pubblico possiamo usare due stratagemmi suggeriti da Giorgio Nardone, psicologo e psicoterapeuta:
- “la tecnica del dichiarare il perturbante segreto” ovvero dichiarare il nostro stato emotivo, per esempio dire di “essere molto emozionati al punto che potrà succedere di restare senza parole” predispone gli interlocutori a dare meno importanza a eventuali blocchi o errori questo perché si fa leva sull’empatia. Gli ascoltatori saranno dalla parte di qualcuno che ha il coraggio di dichiarare e confessare il suo malessere e la sua difficoltà, e questo ridurrà la paura di parlare di fronte a quell’auditorio;
- un’altra cosa che possiamo fare è usare la voce, la paura di sbagliare porta ad avere un tono più accelerato e più alto, che può condurre anche in chi ascolta ansia e attivazione. Il segreto invece è obbligarsi a parlare lentamente, usando una voce più bassa, di pancia: in questo modo si regolano i meccanismi del riflesso psicogalvanico, del battito cardiaco, della respirazione e la paura viene tenuta a bada.

Emotivamente parlando dobbiamo concentrarsi sul nostro coraggio, l’altra faccia della medaglia della paura. La parola coraggio deriva dal latino cor (cuore) come contenitore di tutte i sentimenti e i profondi desideri. Il coraggio non è solo il “restare immobili nel bel mezzo del pericolo” come diceva Tommaso D’Acquino ma sopportare con serenità, avere in sé la forza della speranza. Quindi il coraggio non è qualcosa che appartiene solo ai supereroi, tutti possiamo essere coraggiosi nella misura in cui affrontiamo i nostri demoni o riusciamo a fare qualcosa nonostante le paure che possiamo provare. Lasciamo che il cervello rettiliano si rassicuri e permetta anche alle altre due parti del nostro cervello di attivarsi, la nostra parte emotiva e anche quella razionale, parte della nostra risposta efficace deriva da queste risorse, una volta che ci sentiamo in salvo possiamo ragionare su come organizzare al meglio attivando le nostre capacità e le nostre risorse.

Nel caso in cui la paura di parlare in pubblico diventi debilitante si può chiedere aiuto a uno psicoterapeuta, può essere affrontata anche in terapia, attraverso installazioni di risorse positive fatte con l’EMDR per il miglioramento della performance e l’individuazione dei blocchi emotivi passati e presenti che possono dare sintomi quali imbarazzo, vergogna, ansia, attacchi di panico etc.