Come mai proviamo il senso di colpa?



Come mai proviamo il senso di colpa?

La paura più grande di un essere umano, insieme a quella di morire, è di non valere agli occhi degli altri, di poter essere considerato in modo negativo o con ostilità. Considerato che non è quasi mai vero che gli altri si occupino di noi, questa sensazione è più legata a ricordi emotivi di ferite subite durante l’infanzia, piccoli e grandi traumi. Il tema centrale di questa paura è un’incertezza emotiva irrazionale sul nostro valore sociale nella percezione dell’altro. Nasciamo totalmente incapaci di sopravvivere senza qualcuno che si occupi di noi e in qualche modo percepiamo che è necessario il ben volere degli adulti per stare bene. La cognizione che occorre piacere agli altri per avere cibo, carezze e calore è molto utile e opportuna per la salvaguardia personale e per il processo di socializzazione umana, però a volte non si ridimensiona o estingue con la crescita, quando finisce il suo compito, e in quel caso diventa un’emozione autonoma che condiziona la percezione del nostro valore.
La paura di non essere considerati positivi dagli altri, e poi anche da noi medesimi, è il disagio di chi non si sente all’altezza, di non valere abbastanza per propria colpa, è quello che viene definito il senso di colpa.
Mi è sempre stata incomprensibile la tua assoluta insensibilità al dolore e alla vergogna che suscitavi in me con le tue parole e i tuoi giudizi, era come se non ti rendessi conto del tuo potere, queste parole scritte da Kafka nel suo “Lettera al padre”, fanno comprendere quanto può essere doloroso per un figlio sentire il giudizio aggressivo di un genitore. Un bambino ripreso con il giusto rimprovero, legato alla situazione, può apprendere come migliorare e attraverso ciò crescere e maturare. Ma se il giudizio diventa un attacco aggressivo rivolto direttamente all’individuo, alle sue incapacità, egli proverà dolore e vergogna e il suo senso di autostima verrà intaccato irreversibilmente, in quanto maturerà l’idea di essere inadatto per propria colpa ad affrontare con successo le situazioni della vita. La colpevolizzazione è lo strumento più potente per colpire qualcuno nella stima di sé, è il metodo per far sentire sbagliato qualcuno e poterlo manipolare o controllare dopo averlo indebolito psicologicamente.
Il senso di colpa è sentimento di essere: inadeguati, incapaci, inabili, senza valore o di poco valore, non amabili, non in grado di far innamorare qualcuno, senza possibilità di successo sociale, di seconda scelta, inferiore agli altri, inadatti ad essere così come si pensa di dover essere. Inoltre è anche la paura di essere aggrediti, insultati, sconfitti, rifiutati, giudicati male.
Freud negli anni Venti scriveva che il senso di colpa dipende dal complesso “devi-non devi”, che viene assorbito dalla personalità come un Super-Io, cioè come istanza di controllo della mente. I mattoni con cui è costruito il Super-Io sono i valori, gli atteggiamenti e le istruzioni della famiglia che poi restano nella mente diventando i giudici interni del nostro comportamento. Freud riteneva che si trattasse di valori etici, ma per dirla meglio, i valori morali che ci vengono trasmessi sono sempre ambigui e strumentali, perché l’unica meta indicata dall’ambiente familiare è il successo sociale, questo è il valore supremo anche quando i genitori che lo trasmettono non ne sono consapevoli.
Il Super-io è un’entità interna crudele e spietata che ordina di essere capace, superiore, ammirato, stimato, di non fare brutta figura, di essere amato e rispettato da tutti. Se questo non accade allora diventa un giudice cattivissimo e distruttivo che condanna la persona con una sentenza insindacabile: “non vali niente, sei sempre stato incapace, non hai volontà, sei ridicolo, sei patetico, nessuno può voler stare con te”. La pena da scontare per l’insuccesso consiste nell’esplosione dell’aggressività, verso sé stessi deprimendosi, o verso gli altri attaccandoli. Spesso diventa un pendolo che scarica l’aggressività ondeggiando tra sé e gli altri.
Per ogni insuccesso in cui incorriamo veniamo accusati, giudicati colpevoli e condannati al tormento del senso di colpa. Il Super-Io è invadente, e per riuscire a contenerlo possiamo solo imparare a riconoscere il suo meccanismo, diventarne consapevoli, attivare l’attenzione sul dialogo interno che si svolge di continuo nella nostra testa. Per fortuna mano mano che si diventa più avvezzi a questa pratica si acquisisce anche la capacità di tenerlo a bada. La psicoterapia per esempio può essere un valido aiuto, una palestra dove riuscire in questo intento con l’aiuto di un professionista che fornisce anche strategie valide per farlo.
Il Super-Io, strumento di adattamento sociale che viene attivato dalle parole e dai comportamenti dei genitori, necessario nella crescita del bambino, dovrebbe esaurire la sua funzione nell’adolescenza, ma resta invece a salvaguardare dai pericoli anche quando non servirebbe. Diventa quindi uno strumento giudicante arcaico che in età adulta fa soffrire attraverso i sensi di colpa.
Per superare il senso di colpa oltre a diventarne consapevoli può essere utile valorizzare il coraggio di sbagliare in un contesto avverso e avere la comprensione che non tutto è determinato dal proprio comportamento, ma ci sono elementi che fanno parte di un insieme non sempre comprensibile.
Crescere, evolversi, avvicinarsi al proprio benessere vuol dire anche accettare l'idea di non essere perfetti, di passare attraverso momenti in cui ci si sente sbagliati, difettosi, incerti. Nella sperimentazione di nuove possibilità sofferenza e risultato possono camminare a braccetto, scambiarsi la posizione sul podio del sentire ma non sono mai gratuiti, mai inutili, dietro la porta del progresso di se stessi ci sono altre occasioni, altri pezzi di puzzle in grado di incastrarsi con quelli più profondi di noi, aprirla regala la scoperta di nuovi incastri evolutivi vantaggiosi. Progresso è possibilità, crescita, evoluzione, scoperta. Perfezione è frustrazione, stasi, regressione, senso di colpa.
Coloro che hanno il coraggio di lavorare su sé stessi per costruire un proprio sistema di valori, al di là dell’input ricevuto dai genitori e dall’interiorizzazione dei valori che costruisce il Super-Io, riescono a rendersi quanto più autonomi dal giudizio e dalla punizione, riconoscono il meccanismo del senso di colpa e si liberano dall’idea di dover rincorrere la perfezione per essere amabili.

Per approfondimenti: Lucio Della Seta “Debellare il senso di colpa” Marsilio 2005