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Perché ripetiamo sempre gli stessi errori?

Perché ripetiamo sempre gli stessi errori?

Quante volte ci siamo sorpresi a chiederci: “Perché mi trovo di nuovo in questa situazione?”. Capita di frequente di ripetere gli stessi errori: magari instauriamo ancora una relazione che ci fa soffrire, o ricadiamo in un comportamento auto-sabotante che pensavamo di aver superato. A livello razionale sappiamo di star rifacendo un passo falso, eppure qualcosa dentro di noi ci spinge a proseguire su quella strada conosciuta. Del resto, errare è umano, ma perché spesso tendiamo a errare nello stesso modo? Sembra quasi che una forza invisibile – le nostre emozioni, l’inconscio, le abitudini radicate – ci leghi a copioni ben noti, comprendere perché ripetiamo gli stessi errori è il primo passo per spezzare il ciclo.

La trappola della familiarità emotiva

Molte persone si ritrovano intrappolate negli stessi schemi di relazione, rivivendo dinamiche emotive dolorose. Le relazioni tossiche o i comportamenti nocivi possono perfino risultare paradossalmente confortevoli per la nostra psiche, semplicemente perché sono familiari. È difficile abbandonare ciò che conosciamo, anche se ci fa soffrire. Alcune relazioni sembrano casa perché rappresentano ciò che conosci, anche se ciò che conosci è dolore. In sostanza, tendiamo a ricercare inconsciamente situazioni che confermano le nostre convinzioni e paure di sempre, perché ci illudiamo di poter correggere il passato ricreandolo nel presente.
Questo meccanismo può trasformarsi in una sorta di “insanità relazionale”: continuiamo a scegliere persone e contesti simili, portandoci dietro le stesse ferite e credenze, ma aspettandoci ogni volta un esito diverso. Allo stesso tempo, il timore dell’ignoto ci blocca: meglio il diavolo che conosci, per quanto spiacevole, che affrontare l’incertezza di qualcosa di nuovo. Così restiamo nella nostra zona di comfort anche quando è tutt’altro che confortevole.

Cercare nel posto sbagliato

C’è una storiella zen, che lo psicologo Paul Watzlawick ha reso popolare nel suo libro "Istruzioni per rendersi infelici", utilizzandola per evidenziare come spesso affrontiamo i problemi concentrandoci su ciò che è più accessibile o familiare, anziché esplorare nuove prospettive.
Racconta di un uomo ubriaco che, nella notte, cerca le sue chiavi smarrite sotto un lampione.
Un passante gli chiede: “Le hai perse qui?”
“No”, risponde l’uomo, “le ho perse più in là, nel parco.”
“Allora perché le cerchi qui?”
“Perché qui c’è luce.”
È un’immagine semplice ma potentissima. Spesso cerchiamo risposte dove ci sembra più facile guardare – nella zona illuminata della razionalità o delle spiegazioni note – eppure le “chiavi” del nostro cambiamento si trovano altrove. Cambiare davvero significa guardare anche dove fa più paura o dove non siamo abituati a cercare. A volte, le nostre stesse soluzioni diventano parte del problema. Chi teme l’abbandono può diventare controllante o iper-presente nella relazione, ottenendo però l’effetto opposto: l’altro si allontana, e la paura si avvera. Oppure, chi si sente insicuro può evitare ogni situazione di rischio, ma così facendo rafforza la propria convinzione di essere inadeguato.
Un passaggio importante nel processo di cambiamento è interrompere questi automatismi e sperimentare qualcosa di nuovo. Non si tratta solo di capire il perché, ma di modificare il come: cambiare le azioni ripetitive che mantengono lo schema. Anche il linguaggio può avere un ruolo cruciale. Il modo in cui ci raccontiamo i nostri problemi li può tenere in vita. Spesso chi si definisce “sbagliato”, “inadatto” o “condannato a ripetere” sta inconsapevolmente rinforzando lo schema. Cambiare le parole – anche solo da “non riesco” a “sto imparando a…” – può generare una piccola ma significativa discontinuità.

Attaccamento e copioni di vita: gli schemi che ereditiamo dall’infanzia

Alcuni di questi comportamenti ripetitivi affondano le radici nei modelli appresi durante l’infanzia. Secondo la teoria dell’attaccamento, sviluppata da John Bowlby, ognuno di noi interiorizza un certo stile relazionale basato sulle prime esperienze affettive. Se da piccoli abbiamo vissuto instabilità, rifiuto o iper-controllo, è probabile che da adulti finiamo per cercare inconsapevolmente dinamiche simili. Non perché desideriamo soffrire, ma perché quel dolore ci è familiare.
Questi copioni non sono scolpiti nella pietra: possono essere modificati attraverso nuove esperienze, consapevolezza e relazioni correttive. Ma per riuscirci, dobbiamo prima riconoscere che li stiamo ripetendo. Un altro elemento cruciale sono le credenze profonde che guidano il nostro comportamento. La psicologia cognitiva ci mostra come spesso siano le nostre interpretazioni, più che i fatti in sé, a determinare le scelte che facciamo. Se credo di non valere abbastanza, tenderò a evitare le sfide o a scegliere persone che mi svalutano, confermando così la mia convinzione. Se penso che l’amore implichi sofferenza, mi sentirò attratto da legami complicati o inaccessibili. Queste credenze non sono semplici pensieri: sono strutture profonde, spesso inconsapevoli, che plasmano la nostra realtà emotiva e comportamentale. Funzionano come filtri invisibili: ci fanno notare solo ciò che conferma la nostra visione del mondo e di noi stessi, escludendo tutto il resto. E così, in modo sottile ma persistente, finiscono per creare una realtà che li giustifica.
Le credenze agiscono come sceneggiature interiori: definiscono chi siamo, cosa meritiamo, cosa ci è possibile. E quando sono disfunzionali, ci portano a boicottare le opportunità di benessere. Non perché non vogliamo stare bene, ma perché il cambiamento contraddice l’identità che abbiamo costruito. Accettare amore sano, riconoscere il proprio valore, accogliere una relazione stabile: tutto questo può sembrare minaccioso per chi è abituato a soffrire. Modificare queste credenze richiede tempo, ma anche la volontà di agire controintuitivamente. A volte serve fare il contrario di ciò che ci viene spontaneo: avvicinarsi quando vorremmo scappare, fermarsi quando vorremmo inseguire, accettare quando vorremmo controllare. Il cambiamento nasce spesso proprio da questi piccoli scarti dalla routine emotiva abituale.

Spezzare il ciclo: piccoli cambiamenti, grandi svolte

Spezzare la catena degli errori ripetuti richiede consapevolezza, ma anche azione consapevole. Non basta capire: serve anche provare a fare qualcosa di nuovo, anche se inizialmente ci sembra strano, scomodo o poco naturale. Ad esempio, chi cerca sempre rassicurazioni può provare, per qualche giorno, a non chiederle, osservando le reazioni interne ed esterne. Chi tende a evitare il confronto può scegliere, con delicatezza, di dire ciò che prova. Anche piccoli gesti, se ripetuti con intenzione, possono avviare un processo di trasformazione. Il cambiamento non è sempre graduale: a volte basta un piccolo spostamento, un’azione nuova e pensata, per far crollare un’intera struttura rigida. E se anche all’inizio può sembrare difficile, ogni volta che scegliamo una strada diversa stiamo costruendo un nuovo percorso dentro di noi.
Ripetere scelte nuove – anche piccole – in contesti concreti, aiuta a costruire nuove abitudini emotive. In questo senso, la ripetizione non è più un nemico ma uno strumento: se prima rafforzava lo schema disfunzionale, ora può consolidare una traiettoria nuova.

Dal riconoscere al rinnovare

Ripetere gli stessi errori è una trappola comune ma non inevitabile. Che si tratti di ferite antiche, credenze limitanti o automatismi relazionali, il primo passo è riconoscerli. Il secondo, ancora più potente, è agire diversamente, anche solo per esperimento. A volte non serve scavare più a fondo, ma spostarsi di lato. Non serve capire tutto, ma fare qualcosa di diverso. E se oggi fosse proprio quel giorno in cui provi a muoverti un passo fuori dal solito copione? Un gesto piccolo, ma scelto. Una risposta nuova, lì dove nasceva sempre una reazione automatica. Non serve essere perfetti, basta iniziare a danzare in modo diverso con la vita. Perché ogni passo nuovo, anche incerto, può aprire la strada verso qualcosa che non hai ancora conosciuto: te stesso, fuori dagli errori di ieri.