Quando l’amore fa male: perché scegliamo sempre chi ci fa soffrire?

Ci sono persone che, quasi senza accorgersene, si ritrovano sempre nello stesso tipo di relazione: intensa, coinvolgente… ma anche piena di incertezze, silenzi, sparizioni, dolore emotivo. Partner che “ci sono ma non ci sono”, che si avvicinano e poi si allontanano, che danno e poi tolgono. Eppure, proprio loro diventano irresistibili. Perché succede?
Alcuni pazienti mi dicono: “Con lui/lei non so mai dove sono, ma è proprio questo che mi tiene agganciata/o”. E non è un caso. Il nostro cervello tende ad associare l’intensità emotiva all’idea di amore vero. Quando proviamo ansia, incertezza, agitazione — come accade in una relazione instabile — si attivano aree del cervello legate al desiderio, alla dopamina, all’arousal. È un po’ come se fossimo in cima a una montagna russa emotiva: il cuore batte forte… e interpretiamo tutto questo come “passione”.
La paura veniva confusa con l’attrazione, oggi sappiamo che l’incertezza amorosa può intensificare il desiderio, proprio perché ci fa sentire in tensione emotiva. Uno studio degli anni ’70, diventato celebre, ha mostrato che le persone spaventate da un ponte sospeso trovavano più attraente l’altra persona presente sul ponte.
Il legame tra amore e dolore
Questa dinamica non nasce dal nulla. Spesso si sviluppa molto presto nella vita, nei legami affettivi con le figure di riferimento. Se da piccoli abbiamo ricevuto affetto in modo intermittente — a volte c’erano, a volte no, a volte dolci, a volte freddi — il nostro sistema nervoso ha imparato che l’amore è qualcosa che va conquistato, che non è mai garantito. In altre parole, abbiamo associato amore e incertezza.
Non è un caso se sembra che le relazioni tranquille annoino, o facciano “mancare qualcosa”. Forse il sistema nervoso ha imparato, fin da piccolo, che l’amore è qualcosa che si ottiene con fatica, che va conquistato, che può sparire da un momento all’altro. Forse le figure da cui prendere amore hanno dato messaggi contraddittori: vicinanza e rifiuto, affetto e silenzio, premure e distanza. Ed è così che si impara a restare in allerta. A “meritare” l’amore, confondere la tensione con l’attaccamento, la paura di perdere l’altro con il sentimento.
In età adulta, questo schema può portarci a sentirci più attratti proprio da chi ci tratta in modo simile: chi è sfuggente, chi ci dà poca sicurezza, chi ci lascia nel dubbio. È un copione che conosciamo, e che inconsciamente replichiamo. Non perché ci faccia stare bene, ma perché ci è familiare. E il familiare, nel nostro mondo emotivo, spesso è sinonimo di “giusto”.
L’illusione del “più lo inseguo, più lo amo”
Chi ha uno stile di attaccamento ansioso, ovvero teme l’abbandono e ha bisogno di continue conferme e soffre molto la distanza, tende a innamorarsi di partner evitanti, che fuggono l’intimità, si chiudono, non parlano dei propri sentimenti. Questo tipo di coppia, anche se apparentemente “male assortita”, si trova spesso proprio per questo: l’uno insegue, l’altro scappa. E più uno scappa, più l’altro si agita… e si convince che sta amando “troppo”. In realtà, spesso non è amore. È attivazione del sistema nervoso, paura, bisogno. E ogni piccolo gesto d’amore da parte del partner evitante viene vissuto come una “grande ricompensa”, perché arriva dopo tanta attesa. Questo meccanismo si chiama rinforzo intermittente, ed è lo stesso che rende così difficile smettere di giocare alle slot machine: non si sa mai quando arriva la vincita, e per questo non si riesce a smettere di provare.
C’è una dinamica molto potente che si attiva in questi casi. Quando l’altra persona è sfuggente, non risponde, si allontana, entra in silenzio… il bisogno di rassicurazione cresce. E più cresce, più cresce l’attaccamento. Il problema è che, ogni tanto, quella persona torna, si fa viva, si mostra affettuosa. Magari per un messaggio, una carezza, una notte. E quello sembra bastare, è la dose necessaria. Questo meccanismo tiene in uno stato costante di attesa e desiderio, come in un gioco d’azzardo, e diventa impossibile smettere. Così, ogni gesto positivo da parte del partner viene vissuto come una prova d’amore enorme, un premio tanto più prezioso proprio perché inaspettato. Il pensiero diventa: “Se mi cerca, allora mi ama davvero.” Ma la verità è che è un rapporto sbilanciato, dove il desiderio nasce più dalla mancanza che dalla presenza.
Quando l’amore diventa una “droga”
La neuroscienza ci mostra che il rifiuto romantico attiva nel cervello le stesse aree coinvolte nel dolore fisico e nella dipendenza da sostanze. Il cuore spezzato non è solo una metafora: è un’esperienza reale, che coinvolge le stesse zone cerebrali del mal di denti o della crisi di astinenza. Ecco perché è così difficile “disintossicarsi” da un amore tossico: il cervello è convinto che ci serva quella persona per tornare a stare bene, anche se ci ha fatto soffrire. Guardare la foto dell’altro, aspettare un messaggio, controllare se è online… diventano gesti compulsivi, simili a quelli di chi cerca una dose per calmare la crisi. Questo tipo di “amore” non nutre. Svuota. Tiene in uno stato di allerta, di ricerca, di allarme costante. Ma il corpo, ormai abituato all’ansia, finisce per confondere quella tensione con la passione. E così nasce il convincimento che quell’intensità sia il segno di un amore vero. In realtà, è solo un legame che consuma.
Uscire dallo schema: si può
Il primo passo è rendersi conto dello schema: riconoscere che stiamo confondendo l’ansia con l’amore, l’attesa con la passione. Chiedersi: “Questa relazione mi fa sentire al sicuro?” è spesso più utile di “Questa persona mi fa battere il cuore?” Imparare a distinguere amore da attivazione, intimità da instabilità, desiderio da bisogno, richiede tempo e consapevolezza. Ma è possibile. E soprattutto, non si tratta di smettere di amare, si tratta invece di imparare un nuovo modo di amare, più sano, più calmo, più vero.
Se ti ritrovi ancora una volta a inseguire qualcuno che ti fa sentire instabile domandati:
• Mi sento al sicuro in questa relazione?
• Sono libero di essere me stesso, o vivo nel timore di perdere l’altro?
• C’è più pace o più ansia quando sto con lui/lei?
A volte il corpo risponde prima della testa: tensione, insonnia, agitazione, pensieri ricorrenti… sono segnali. L’amore non dovrebbe destabilizzare. Dovrebbe far sentire più calma, più forza, più sicurezza. L’amore non è un’altalena emotiva, non deve mettere nella posizione di dimostrare, di lottare, di implorare. Dovrebbe essere presenza, dialogo, cura, sicurezza, tutte cose che sono alla base di una relazione profonda e duratura.